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Fino al febbraio 2020 Donald Trump era il favorito - nei commenti, non nei sondaggi - perché aveva mantenuto in pieno l'impegno di "fare ancora grande l'America", slogan che i suoi fan del 2016 portavano sui cappellini rossi. Hillary Clinton li bollò come "deplorevoli" ma furono i protagonisti della silenziosa rivoluzione di Trump contro le élite. I successi del primo triennio sono entrati nella storia degli Usa. Dalla minor disoccupazione di sempre per neri, ispanici, asiatici, bianchi, donne e teenager ai record di Wall Street. Dai milioni di posti creati nel settore industriale, abbandonato dai profeti della globalizzazione pro-Cina, ai tagli di tasse e regole per famiglie e imprese, che hanno alimentato la fiducia dei consumatori e gli spiriti animali degli imprenditori. Ma l'America del primo Trump è crollata, da marzo, sotto i colpi mortali della pandemia. Il Governo ha messo in lockdown il Paese per fronteggiare la crisi sanitaria e l'artefice del miracolo economico si è trasformato nel War President, il presidente di guerra con tre formidabili nemici. La recessione improvvisa che ha bruciato oltre 50 milioni di posti di lavoro e ha gettato la Borsa nelle braccia dell'"Orso". Il "caso Floyd" che ha drammaticamente riaperto la ferita del razzismo in una nazione che lotta, dalla Costituzione di 244 anni fa, per purgarsi del peccato dello schiavismo e per promuovere eguaglianza e libertà. E l'iconoclastia contro le statue simbolo di questa travagliata storia. Riuscirà il "guerriero solitario" (suo tweet del 29 giugno) a convincere l'America che merita il bis?